Tool – Fear Inoculum

Tool – Fear Inoculum
Parlare di “Fear Inoculum”, il nuovo album dei Tool è estremamente complicato. Da una parte c’è l’aspettativa enorme creatasi in tredici anni di attesa, dall’altra il timore che possa essere un disastro, dall’altra ancora il fatto che analizzare in modo completo un disco come questo non è facile nemmeno dopo mille ascolti.
Quando è uscito il primo singolo, la title track, ho trovato conferme positive per quanto riguarda la qualità proposta: dieci minuti di viaggio sonoro in cui tutti gli elementi si compensavano a vicenda, prendendo spunto dal passato, ma senza osare quasi nulla di nuovo. Un buon pezzo, non entusiasmante, ma in grado di incuriosire sempre più, ascolto dopo ascolto.
Poi è arrivato l’album: ottantasei minuti di musica in cui quattro intermezzi si contrappongono a sei monoliti (nessuno dei quali inferiore ai dieci minuti). L’ho ascoltato la prima volta e ho tirato un sospiro di sollievo, non era un buco nell’acqua. Allo stesso tempo, però, mi sono trovato di fronte a un dilemma: godere del livello qualitativo decisamente elevato o patire per i molti (troppi) rimandi ai dischi passati? Non riuscivo a capire se si trattasse di una nuova pietra miliare, di un “semplice” ottimo disco o di un album uscito per accontentare i fan. L’ho riascoltato di nuovo e poi ancora e ancora e ancora.
Tralasciando i quattro intermezzi, che considero solo come momenti di stacco necessari per definire in modo netto quelli che sono i sei brani effettivi, i punti deboli di “Fear Inoculum” sono principalmente questi: i pezzi mettono da parte molta dell’aggressività in favore di atmosfere più distese e dilatate; chitarra e batteria emergono in maniera preponderante, mettendo in secondo piano il resto; la voce di Maynard James Keenan si normalizza, restando quasi sempre in disparte e non osando mai; molti suoni, passaggi, dinamiche e atmosfere rimandano in maniera forte ai precedenti album (“Lateralus” e “10.000 Days” in particolare).
D’altro canto, però, è innegabile che, ascolto dopo ascolto, la voglia di riascoltare questo album invece di diminuire, aumenti. Ad ogni passaggio si scalfisce sempre di più la superficie, si scoprono nuovi dettagli, nuove fascinazioni. Quello che sembrava semplice acquisisce progressivamente profondità. Il suono ti risucchia e tutti i dubbi e le critiche mosse in partenza vengono meno. Lentamente esce fuori la vera anima di “Fear Inoculum”, un album maestoso, maturo ed intelligente che scava l’anima dell’ascoltatore, portando in quei luoghi a metà tra sogno e ipnosi che, molto probabilmente, solo “Lateralus” è riuscito, finora, a delineare.
I Tool sono dei fuoriclasse, non c’è alcun dubbio. Penso che riuscire ad avere una carriera quasi trentennale e avere la capacità di non sbagliare neanche un colpo, risultando sempre ispirati e sul pezzo, sia una cosa difficilissima da mettere in atto.
Sono passati tredici anni dal loro precedente album, praticamente un’eternità. I maldicenti potrebbero dire che si è tentato di resuscitare un cadavere, ma la realtà dei fatti è che non ci siamo trovati di fronte ad uno scheletro, piuttosto alla maestosità di un antico faraone.
(04/09/2019)

Voto: 8