
Stranger Things 1-2-3
Ho cominciato a guardare “Stranger Things” due o tre settimane fa, dopo l’uscita del teaser relativo alla pubblicazione della quarta stagione. Lo so, sono paurosamente in ritardo su tutto, ma non sono mai stato un grande amante delle serie tv. Il fatto è che il tempo da dedicarci è sempre tanto ed essendo io uno da visione compulsiva, rischio fortissimo di annullare la mia vita sociale in un baleno. In questo caso, però, complice il terrorismo mediatico sul corona virus e le insensate paranoie che mi sono creato al riguardo, mi ci sono buttato dentro senza pensarci più di tanto: ho guardato tutte e tre le stagioni.
Per quanto riguarda la prima, mi sono innamorato di tutto quello che essa contiene. Partendo dalla storia, non si può dire altro se non che abbia una struttura solida, in grado di incuriosire sempre di più, episodio dopo episodio. Certo, non c’è bisogno di molto tempo per realizzare che esiste un’altra dimensione rispetto a quella dove vivono i protagonisti, ma nonostante la cosa risulti banale, il capire come raggiungerla e come essa interagisca con la casa di Will tiene alto l’interesse per tutta la durata. C’è anche la storia di Undici, personaggio incredibilmente affascinante, di cui vorremmo sapere tutto, ma di cui capiremo il passato solo verso la fine della stagione. Oppure la figura di Hopper, presente fin dall’inizio, ma chiarita nella sua interezza solo con il proseguire dei capitoli.
Poi c’è l’amore per l’ambientazione, sempre presente e in qualche modo fondamentale: il lago dove trovano il finto corpo di Will è pauroso e bellissimo allo stesso tempo, le sequenze in mezzo al bosco durante le battute di ricerca sono avvolgenti, l’azzurro dei cieli rimane impresso, gli interni delle abitazioni sono pieni di dettagli. La fotografia gioca sul valorizzare i verdi e i blu, creando un’atmosfera umida e invernale, che riporta immediatamente all’autunno, allo stare in casa, al caldo e all’asciutto. La stessa idea di luogo sicuro, inoltre, viene ricreata dalle luci natalizie usate da Joyce. E’ vero, l’utilizzo che ne fa ha tutto un altro scopo, ma l’estetica generata è incredibilmente affascinante.
Infine, c’è il rimando fortissimo agli anni ’80, ai Goonies prima di tutto, ma anche a D&D, a Star Wars, alle sale da gioco, alla musica. Il bello è che non risulta mai invasivo, fuori luogo o eccessivo.
Credo che il segreto di questa prima stagione stia nel fatto che i fratelli Duffer l’avessero pensata e pianificata in ogni minimo dettaglio, con tutto il tempo necessario a disposizione, concependola, a detta loro, come un lungo film autoconclusivo di 8 ore. Tutto funziona a meraviglia e, arrivati all’ultimo episodio, la voglia di vederne ancora o, addirittura, di ripartire da capo, è stata veramente tanta.
Con “Stranger Things 2”, invece, le cose si sono fatte più complicate. Il primo pensiero che mi viene in mente è che, sin dall’inizio, si sa già tutto di tutti, per cui non ci sono più misteri da risolvere. E’ vero, c’è il ritorno dei mostri del Sottosopra e quindi, in teoria, un giallo da chiarire, ma questo, oltre al fatto che ha sicuramente meno mordente rispetto al passato, viene affrontato con modalità simili a quelle della prima stagione (non più le luci natalizie, ma i disegni di Will).
I protagonisti, inoltre, cominciano a deformarsi: Steve, passa dall’essere il re della scuola, ad essere il principe degli sfigati; Joyce si fossilizza sull’essere una madre ultraparanoica; i ragazzi, senza alcun motivo apparente, non sono più bullizzati da nessuno; il Governo Americano, improvvisamente, non è più nemico, ma amico.
Per quanto riguarda le new entry, invece, da una parte abbiamo Bob, personaggio inconsistente sotto ogni aspetto (il suo unico punto di forza è l’essere interpretato da Sean Austin, già Sam ne “Il Signore Degli Anelli” ma anche Mikey ne “I Goonies”), mentre dall’altra c’è Billy, ragazzo estremamente stereotipato e infinitamente poco credibile.
Un altro grosso difetto che affligge la serie sta nel fatto che tutta la parte legata al creare un mondo in grado di coinvolgere, immedesimarsi ed affascinare, viene tralasciata per concentrarsi sulla storia. La trama è il perno dell’intera stagione e tutto ruota attorno ad essa. Il problema, però, è che non ha la forza necessaria per conquistare come in passato. I fratelli Duffer, per come la vedo io, avevano due opzioni: potevano fare una seconda stagione creando un nuovo mistero, di un altro tipo, che coinvolgesse allo stesso modo della prima serie, oppure proseguire con il materiale già a disposizione, amplificando fin quasi all’esagerazione le conseguenze. Hanno scelto la seconda strada, creando un mostro ancora più grosso del primo e focalizzandosi sulla componente fantascientifica. Il risultato è stato che, se nella prima stagione il Sottosopra e il suo abitante erano un pretesto per una trama incentrata sulle persone e sui loro conflitti, qui i rapporti si sono fatti più superficiali e l’attenzione è stata posta in gran parte sul risolvere il mistero e sulla componente horror.
Tirare fuori nove puntate da una storia così poco articolata non dev’essere stato facile, tant’è che i riempitivi saltano all’occhio come non mai. Ad allungare il brodo non ci ha pensato solo Dustin con il suo democane D’artagnan (si, Dustin trova un animale sconosciuto, appartenente a nessuna razza esistente, e non si pone domande: lo adotta a cuor leggero), ma anche Undici con il suo viaggio alla ricerca della madre e della sorella Kali (la quale, pur non avendo alcun peso nell’economia della storia, ha un’intera puntata dedicata) e Nancy e Jonathan con il loro attaccarsi alla morte di Barb che li porta dal complottista Murray (altra improbabile new entry nel cast).
Il risultato finale non è drammatico, per carità, ma quasi tutto l’entusiasmo che si aveva dopo la prima stagione viene cancellato. Il momento più atteso e intenso dell’intera serie è sicuramente quello in cui Undici ritorna dai suoi amici e da Mike (quel maledetto lieto fine che ci era stato negato nella prima stagione), ma, oltre a ciò, tutto il resto appare come una copia sfocata e sbiadita del vecchio “Stranger Things”.
Conseguenza di questo calo d’interesse è stato che ho cominciato a guardare la stagione successiva solo dopo una settimana di pausa e solo a causa dell’insistenza di alcuni amici.
Nonostante la mia buona volontà, però, in questo terzo capitolo tutto va a rotoli. I fratelli Duffer, apparentemente, tornano sui loro passi ridimensionando il ruolo dato ai mostri e alla componente fantascientifica (nonostante il ritorno del Mind Flyer), ma, nella realtà delle cose, sbracano male, inserendo gli improbabili Russi come antagonisti. I sovietici, infatti, sono tutti cattivissimi (il più cattivo di loro è un killer motociclista con la faccia da Terminator) e tutti poco credibili. Basti pensare che, tra il 1984 e il 1985, secondo la storia raccontata, hanno costruito, sotto il centro commerciale di Hawkins, ad almeno 30 metri di profondità, una base segreta grossa qualche chilometro quadrato, senza che nessuno se ne accorgesse. Ecco, se questo non vi pare già una pugnalata al cuore, tenete conto che c’è dell’altro: in questi otto episodi, tutto il fascino che poteva essere in stile “Goonies” viene sopraffatto da un’insensata voglia di trasformare la serie in un enorme film d’azione in stile anni ’80. Da una parte, la maggior parte dei protagonisti viene stravolta, per cui Joyce si fissa con le calamite del frigo, apparendo quasi una complottista squilibrata, Hopper perde tutta la sua serietà e profondità, risultando un demente con difficoltà comunicative, Undici, nonostante siano due anni che vive nel mondo normale, pare ritardata, Steve è il re della sfiga assoluta, Billy si ritrova con una personalità ampliata nel più banale dei modi. Dall’altra parte, invece, abbiamo i dialoghi, completamente stereotipati, privi di profondità, basati su gag e frasi fatte, un po’ come se ci fosse lo zampino della Asylum. Un enorme collage di citazioni tenute su dal niente in cui emergono “Magnum PI”, “Terminator”, “Indiana Jones”, “La Cosa”, “Ritorno Al Futuro” e tanto altro ancora.
L’unico modo per poter cercare di apprezzare questa stagione è di dimenticare tutto il passato, di sospendere completamente l’incredulità e di accettare le cose senza farsi domande, lasciandosi scorrere addosso l’imbarazzo. Un enorme peccato e un’enorme delusione.
Sinceramente, dopo queste ultime otto puntate, non ho assolutamente idea di dove possano andare a parare i fratelli Duffer con la quarta stagione. Da quel che si vede nell’ultimo trailer, i Russi ci saranno ancora, come i demogorgoni. Per quel che mi riguarda, ipotizzo che con il trasferimento in città di Will e Undici, possa tornare in gioco Kali (il cui inserimento nella seconda stagione altrimenti continuerebbe ad essere totalmente privo di scopo), ma, allo stesso tempo, temo che la storia possa tornare ad ingigantirsi in maniera insensata.
Di certo c’è solo che il piccolo mondo nostalgico creato con la prima serie è totalmente scomparso e, con esso, quasi tutta la bellezza dell’insieme.
(01/03/2020)
Voto Stagione 1: 8,5
Voto Stagione 2: 7
Voto Stagione 3: 6