
Giardini Di Mirò – Different Times
La prima volta che ho messo su il nuovo disco dei Giardini Di Mirò l’ho fatto lasciando il volume dello stereo basso. Lo volevo come sottofondo, mentre avevo altre cose da fare. Ho pensato che l’avrei capito subito e che sarebbe stato facile assorbirlo, ma non è stato così.
Al primo ascolto l’ho vissuto come un disco molto “post rock”, un album dai tratti stereotipati e dalle dinamiche trite e ritrite. Non mi è piaciuto e ho scelto di metterlo da parte, dimenticandomelo.
Ora è passato un po’ di tempo e, l’altro giorno, quando l’ho rimesso su, mi sono accorto di esser stato abbastanza frettoloso nel giudicarlo.
C’è una forte connotazione post rock, verissimo, ma ad ogni occasione c’è il tentativo di declinarla in modo diverso: in alcuni casi si punta su soluzioni orchestrali (Different Times), in altri rifugiandosi nella psichedelia (Pity The Nation), in altri ancora provando a rientrare in schemi classici della forma canzone (Don’t Lie, Hold On). Ci sono, però, anche una lunga sequenza di brani (che su nove brani vuol dire almeno quattro), che, bene o male, tirano a spegnere l’entusiasmo, adagiandosi su atmosfere poco coinvolgenti e sonorità prive della giusta verve (Void Slip, Landfall, Under, Failed To Chart).
Nell’insieme Different Times non è un album deludente, ma nemmeno un capolavoro. Ha una serie di momenti positivi in cui gli influssi post rock sono domati e rielaborati in modo convincente (merito anche degli ospiti, fra cui Any Other e Robin Proper-Sheppard), ma ha anche una serie di momenti in cui ci si chiude in vicoli ciechi fatti di stanchezza compositiva e freddezza comunicativa.
I Giardini Di Mirò stanno lì in mezzo, galleggiano sopra la sufficienza. Sanno di essere ottimi musicisti e lo dimostrano, ma probabilmente si illudono che basti solo questo per far sì che il loro disco funzioni fino in fondo.
(18/04/2019)
Voto: 6,5