Nick Cave & The Bad Seeds – Ghosteen

Nick Cave & The Bad Seeds – Ghosteen
Quando è uscita la notizia che Nick Cave avrebbe pubblicato un nuovo doppio album, sono rimasto molto sconcertato da quella che era la copertina del disco. Il mondo fantastico fatto di animali, fiori e luce che vi era ritratto sembrava preannunciare il più rovinoso tracollo possibile della sua carriera. Fortunatamente, però, mai come in questa occasione, il detto “l’abito non fa il monaco” si è dimostrato così calzante, per cui, superata la diffidenza della zuccherosa parte grafica, il contenuto mi ha conquistato in un baleno.
Nick Cave e i suoi Bad Seeds, abbandonata completamente la classica strumentazione da rock band, hanno scelto di proseguire ulteriormente sulle sonorità che già avevano cominciato a caratterizzare il precedente “Skeleton Tree”: lunghe e desolanti atmosfere rarefatte in cui a dominare sono i synth, il pianoforte e gli arrangiamenti orchestrali. A completare il tutto, la voce del cantautore, carica di carattere ma mai sopra le righe, quasi sempre concentrata a parlare, declamare e pregare, piuttosto che a cantare in senso stretto.
Il tema di fondo dell’intero lavoro è indubbiamente la morte del figlio Arthur (tragicamente scomparso nel 2015), qui vissuto non più solo come un intensissimo momento di lutto (come poteva essere nel disco di tre anni fa), ma anche come un momento di presa di coscienza, di confronto con la disgrazia, di speranza e di riappacificazione con sé stessi.
A ragion veduta, indicare brani più riusciti di altri risulta difficile. “Ghosteen” è un album omogeneo in cui ogni brano sfuma nel successivo, come un unico lungo flusso di coscienza denso di emotività e dolore, riflessione e speranza. C’è la timida luce di Sun Forest, lo spettrale iniziare di Spinning Song, il pianoforte di Bright Horse e Waiting For You (prima accompagnato da ricchi arrangiamenti, poi solitario e mesto), ma ci sono anche il sound disteso di Ghosteen Speaks e di Leviatan, oltre alle monolitiche Ghosteen e Hollywood (entrambe da esplorare in ogni suo particolare).
L’artista australiano dà vita a un album veramente complesso e profondo dove le variazioni sono minime ma importanti. Poteva venirne fuori un disco monotono e fine a sé stesso, ma le atmosfere e il pathos trasmessi tengono con il fiato sospeso dall’inizio alla fine. Per quanto mi riguarda, ci troviamo di fronte ad una delle sue migliori pubblicazioni.
(19/10/2019)

Voto: 8