Lo Stato Sociale – Cinque Dischi

Nel corso delle ultime settimane, in attesa del Festival di Sanremo, Lo Stato Sociale ha fatto uscire ben cinque dischi, uno per ogni componente della band. Non ho mai scritto nulla sulla loro musica e questa mi sembrava una buona occasione per farlo. Ecco che cosa ne è venuto fuori.

Bebo
Per quanto mi riguarda Bebo l’ho sempre visto come uno con la faccia simpatica, del tipo che non ci ho mai parlato, ma che se mai succedesse, sono convinto che sarebbe una cosa piacevole. Credo che con lui sarebbe interessante discutere di qualsiasi argomento, anche se eviterei scrupolosamente il tema musica e l’uscita del suo ultimo disco. L’ep omonimo, infatti, il primo dei cinque programmati da Lo Stato Sociale, è davvero un qualcosa di tragico, un lavoro deludente sotto ogni punto di vista.
In queste cinque canzoni quasi tutto suona come una imbarazzante parodia degli Offlaga Disco Pax, alle volte in salsa elettro pop, altre ancora in versione post rock malinconica. L’iniziale La Senti Questa Forza?, ad esempio, vede Bebo blaterare sul senso della vita (la propria), mescolando gag malriuscite, paura di invecchiare e orgoglio per la sua instancabilità a lavoro. La successiva Fantastico!, invece, prova a suonare introversa e riflessiva, ma perde tutta la sua forza a causa del lungo fiume di parole che la invade, completamente privo di pathos ed espressività. 2020: Fuga Dall’Aperitivo rimanda costantemente a Robespierre (ancora ODP), dimostrandosi un crescendo di imbarazzo difficile da fermare, mentre Prima Che Tu Dica Pronto, il momento migliore dell’intero ep, si lascia guidare dai synth, costruendo un breve ma riuscito viaggio elettro-wave. La conclusiva Sono Libero, infine, riportando in primo piano lo spoken word di Bebo, con quel pianoforte in lontananza a fare introspezione/poetico/intellettuale, è una pugnalata al cuore, un dispiacere a ogni nota.
Il grande problema di questo lavoro è che la parte strumentale e la parte parlata cozzano costantemente l’una con l’altra, non trovando quasi mai un punto di contatto. Il risultato finale non solo delude, ma lascia addosso la grande paura che i prossimi quattro ep possano essere anche peggio.
(05/02/2021)

Voto: 5

Checco
Dopo il passo falso compiuto con il primo ep, la band bolognese riprova a mettersi in carreggiata con i cinque brani di Checco. Il secondo componente de Lo Stato Sociale si gioca la carta dell’it-pop, regalando un quarto d’ora di musica in cui suoni, parole e atmosfere si combinano ottimamente fra loro, dando vita ad un lavoro che potrebbe essere, perché no, anche punto di partenza per una carriera solista.
L’iniziale Barca, svogliata nel cantare ma accattivante per quanto riguarda melodie e testi, racconta del bisogno di fuggire dalla realtà, possibilmente viaggiando rimanendo fermi, con qualcuno da amare al proprio fianco. I ritornelli di Delorean, invece, leggermente sbilenchi ma in grado di farsi spazio, mescolano insieme Calcutta, Coez e Gazzelle, conquistando con leggere note di chitarra, synth e drum machine. Il sound elettrico di Vivere, a seguire, cattura l’attenzione con il suo pop/rock distorto ma mai fuori dalle righe, mentre l’emotività di Perso, in espansione quando è il momento dei refrain, si appoggia ancora una volta al calore della chitarra, lasciando che a definire i contorni siano, in lontananza, synth e sezione ritmica. A chiudere il lavoro, infine, è Luce, canzone in grado di costruire interessanti soluzioni pop a partire da fondali space/wave. Le tastiere sono il punto di partenza, ma più si procede con l’ascolto e più ci si rende conto che il vero cuore pulsante dell’intero brano è l’affiatamento che si viene a creare fra i vari strumenti, costantemente in dialogo e in cerca di un punto di incontro.
Visto com’era andato il precedente ep non riponevo grandi speranze in Checco, ma mi sbagliavo completamente. Il suo disco mescola leggerezza pop e maturità artistica, proponendo un riuscito equilibrio sonoro in cui l’attenzione ai dettagli e alla visione d’insieme sono il principale punto di forza.
(11/02/2021)

Voto: 7

Carota
Ad essere onesti non mi aspettavo grandi cose da uno che si fa chiamare Carota, ma mi rendo conto che non ha granché senso se detto da uno che si fa chiamare Franky Ciliegia. Se poi ci mettiamo che le sue cinque canzoni, soprattutto nella prima parte, suonano anche bene, conviene lasciare proprio perdere i pregiudizi e concentrarsi sull’ascolto.
Il terzo ep pubblicato dallo Stato Sociale guarda in direzione di sonorità urban/funk, lasciandosi guidare dalla produzione dei Mamakass per buona parte del tempo. Ad aprire il lavoro è Il Giorno Dopo, canzone realizzata in collaborazione con Willie Peyote. Il brano, dai ritornelli al vago sapore di Tre Allegri Ragazzi Morti feat Jovanotti, ammicca con furbizia ad ogni occasione, combinando dolci melodie e trascinante incedere ritmico. Il piglio di Colorado, invece, inno per sottoni incredibili, è zuccheroso e sdolcinato quanto basta per mietere infinite giovani vittime, mentre Mare Di Cartone, tra pulsare di drum machine e distese elettroniche (zeppe di dettagli), si apre sempre al momento opportuno, cantando di amori malinconici e cuori spezzati. Al Sole Dell’Ultima Spiaggia suona come Francesco Gabbani che prova a fare trap con il vocoder settato sui Pop X. Detta così sembra una roba improponibile, ma alla fine risulta solo mediocre, un po’ come la successiva Dj Di Merda – Regaz Version, rielaborazione più asciutta del brano già pubblicato dalla band nell’estate 2019.
L’ep di Carota si gioca tutto con le prime tre canzoni (quelle prodotte dai Mamakass), spegnendosi poi rapidamente nella parte conclusiva. L’impressione è che non avesse abbastanza pezzi per mettere insieme il disco e che per chiudere il lavoro abbia inserito un paio di riempitivi. Un po’ di delusione c’è, ma nel complesso si rimane comunque soddisfatti.
(14/02/2021)

Voto: 6,5

Lodo
Mi aspettavo che la carta Lodo venisse giocata all’ultimo e invece il quarto ep pubblicato dallo Stato Sociale è proprio il suo. Il frontman della band bolognese si presenta con un disco pieno zeppo di collaborazioni, contrapponendo ottimi momenti elettro pop tamarri a sentori indie/cantautorali di poco valore.
Muoio Di Noia apre il disco ed esplode nelle casse come una hit estiva in stile Fedex e J-Ax (a produrre c’è Danti). La voce di Margherita Vicario illumina l’intero brano, dandogli una vitalità che altrimenti dubito avrebbe raggiunto, mentre synth e drum machine, squillanti e pulitissimi, riempiono lo spazio sonoro, creando volume. L’Amore E’ Una Droga, subito dopo, parte malinconica e desolata, ma nonostante il taglio post punk/new wave che la caratterizza, si lascia poi andare a ritornelli pieni di energia. A cantare con Lodo troviamo Cmqmartina, la cui voce, fondamentale per raggiungere la giusta intensità emotiva, contribuisce non poco a dare sostanza all’insieme. A rompere completamente con il sound dei primi due brani è la successiva Dimmi Prima Le Cattive, canzone deludente sotto quasi tutti punti di vista. Galeffi ci prova a tenere insieme tutto, ma il testo imbarazza quanto basta e i ritornelli, pur provando qualsiasi cosa (anche arrangiamenti pseudo-orchestrali), non decollano mai davvero. Anche Oggi, Domani Andrà Meglio prosegue sulla stessa scia, stancando in men che non si dica con quel suo pianoforte. Si fa notare la presenza di Samuel Heron, ma per quanto mi stia simpatico, non incide minimamente sul risultato finale. La conclusiva L’Unica Cosa Che Non So Fare, con Nicolò Carnesi a produrre, prova a rimediare ai precedenti inciampi e, nonostante l’inutile presenza di Ninni Bruschetta, riesce nell’obiettivo legando con intelligenza parte cantata e parte strumentale.
Al di là dello scopo promozionale di questi ep, Lodo poteva sfruttare questa occasione per provare a sperimentare nuove soluzioni, ma l’impressione è che sia mancato il coraggio necessario. I primi due brani, con l’idea del pop tamarro, catturano l’attenzione e generano interesse, il resto del lavoro, ritornano su sonorità più care al cantante, generano noia e delusione.
(24/02/2021)

Voto: 6

Albi
Il disco di Albi arriva a pochissimi giorni dall’inizio del Festival di Sanremo e, a differenza dei precedenti, contiene un brano in meno. Il pezzo mancante è stato comunicato che sarà quello che verrà presentato durante la kermesse musicale, mentre i restanti quattro, a dire il vero, sono una mezza delusione.
L’iniziale Sesso, Droga e Lavorare è realizzata insieme ai Selton e suona orecchiabile grazie al suo incalzante sound al retrogusto di tropici ed estate. Il testo, pieno di banalità e luoghi comuni, risulta inconsistente allo stesso modo di quello di Fucking Primavera, canzone synth pop/funky che da una parte entra in testa in un baleno, dall’altra ti chiedi “ma perché?”. Belli Così è la classica canzone che di solito uno taglia senza pietà appena parte. Mielosa e priva di sostanza, risulta debole e imbarazzante sotto tutti i punti di vista, lasciando abbastanza interdetti. La conclusiva Equazione – Una Canzone Per AIL, infine, spera di convincere con quel “un pezzo di me (…) un pezzo di te” e i ritornelli dal piglio vivace, ma la verità dei fatti è che, anche in questo caso, il risultato lascia abbastanza a desiderare.
L’ep di Albi chiude la serie tornando a deludere tanto quanto aveva fatto Bebo all’inizio. Se la canzone per il Festival di Sanremo sarà simile a quelle presentate in questo disco, fossi nello Stato Sociale forse comincerei a preoccuparmi.
(27/02/2021)

Voto: 5