Little Simz – Sometimes I Might Be Introvert

Little Simz – Sometimes I Might Be Introvert
Se devo essere sincero, fino a tre mesi fa non sapevo nemmeno chi fosse Little Simz, essendo che tutta la mia cosmogonia musicale si fonda su tutt’altre sonorità rispetto a quelle da lei proposte. A partire da alcuni consigli fidati, però, è successo che non solo mi sia ritrovato a scoprire la sua musica, ma che abbia deciso di dedicarle una quantità di tempo esagerata, vivisezionando, uno per uno, tutti i suoi album.
Lei in realtà si chiama Simbiatu “Simbi” Abisola Abiola Ajikawo, viene dall’Inghilterra e ha origini nigeriane. Dopo la pubblicazione di vari mixtape ed ep, grazie anche all’aiuto di Inflo, producer suo amico d’infanzia e componente del collettivo Sault, ha debuttato sulla lunga distanza nel 2015 per la Age 101 Music, etichetta discografica da lei stessa fondata. Da quel momento in poi la sua carriera è sempre stata in crescendo, portandola ad essere una fra le artiste di punta della scena hip hop inglese.
Il primo disco che ho avuto modo di ascoltare è stato “Stillness In Wonderland”, il suo secondo lavoro lungo. Si tratta di un album pieno zeppo di influenze, dettagli, arrangiamenti e idee, quasi che fosse una pentola a pressione pronta ad esplodere in mille colori. L’ascolto è denso e strutturato, ma nell’insieme convince in ogni sua parte, trovando nel combinarsi di parti strumentali, rap e cantato, un equilibrio tale da rendere difficile l’individuazione di momenti trascurabili. Quello che però manca è la presenza dell’autrice stessa, la quale, forse per timidezza, molto più probabilmente per ingenue scelte commerciali, rimane troppo spesso in disparte, lasciando che il susseguirsi di feat. le porti via la scena. Nei momenti in cui torna protagonista, però, dimostra tutto il suo valore, tirando fuori pezzi come Low Tides (il mio preferito dell’intero album), Picture Perfect o la conclusiva No More Wonderland.
Alle spalle di questo lavoro c’è “A Curious Tale Of Trials + Persons”, il disco d’esordio. Come è facile immaginarsi, suona molto più semplice e ingenuo rispetto a quello che sarà, da lì a poco, “Stillness In Wonderland” (i due album sono stati pubblicati ad appena un anno di distanza l’uno dall’altro), ma non per questo lo considero un ascolto da trascurare. Dal punto di vista della continuità, infatti, ci ho trovato un legame molto forte, tanto da vederlo, con il senno di poi, come un vero e proprio banco di prova di quella che sarà la carriera di Little Simz. In ogni caso, il fatto che contenga pezzi notevoli come Wings, Tainted e Gratitude, lo rende già di per sé più che degno di attenzione.
Ad avermi lasciato perplesso, invece, è stato “Grey Area”, il cosiddetto album della consacrazione. Il problema di questo disco, secondo me, sta nel fatto che mette completamente da parte quello che era stato il percorso artistico di Little Simz fino a quel momento, standardizzando il suono ed appiattendosi su canoni stilistici già codificati. Nel suo insieme non suona male, ma proprio come lascia suggerire il titolo stesso, si muove in una zona grigia, anonima, in cui l’unica cosa che effettivamente spicca è il rapping della nostra artista. Sulle dieci canzoni messe in scaletta, ad esempio, l’unica che riesce a dimostrare una propria personalità è Selfish, singolo realizzato insieme a Cleo Sol e caratterizzato da melodie accattivanti, ottimi arrangiamenti e notevole gusto artistico. Se questo è il mio pezzo preferito, il resto del mondo invece è impazzito per pezzi come Venom, 101 FM o Boss, ma ad essere sinceri non riesco a capirne il motivo.
Arrivando al presente, quindi, non resta che affrontare “Sometimes I Might Be Introvert”, il quarto capitolo discografico di Little Simz. Il disco, pubblicato alcune settimane fa, si compone di diciannove tracce, supera serenamente i sessanta minuti di durata e mette completamente da parte “Grey Area”, rimandando in modo chiaro ed inequivocabile a quello che invece era stato “Stillness In Wonderland”.
Rispetto al passato si sente fortissima la consapevolezza della rapper, sia in fase di scrittura sia in fase compositiva. L’iniziale Introvert ne è l’esempio lampante, grazie al suo esplodere maestoso fra atmosfere orchestrali e apocalittiche, mentre un fiume di parole cariche di significato e contenuto si scaglia nel cuore dell’ascoltatore. Ogni canzone in scaletta non solo è un potenziale singolo, ma è anche un tassello fondamentale dell’intero lavoro, collegandosi agli altri grazie a intermezzi, sfumature e lievi collegamenti. Per cui ci sono le rime che picchiano in faccia di I Love You, I Hate You, mitigate da cori e fiati, ma ci sono anche la presa di coscienza e il senso di liberazione di Little Q Pt. 2. Il sound minimale e tribale di Speed, senza mai perdere smalto, si fonde con quello ben più strutturato e articolato della successiva Standing Ovation, mentre Point And Kill, guidato da influenze afrobeat si pianta in testa con il suo ritmo e il suo piglio melodico. Sul finire, invece, la malinconia di Miss Understood ci travolge con la sua semplice lucidità, chiudendo un album che è un vero e proprio flusso di coscienza, una lunga e profonda riflessione su sé stessi.
Con “Sometimes I Might Be Introvert” sembra proprio che Little Simz abbia finalmente preso il controllo completo su quella che è la sua musica, sia dal punto di vista dell’estetica e dei contenuti, sia dal punto di vista del suono e degli arrangiamenti. Bisogna ammettere che la magniloquente pomposità dell’intera opera, alla lunga, tende un po’ a stancare (ad esempio qualche intermezzo con Emma Corin alla voce si poteva evitare), ma nel complesso il disco è talmente solido e ben strutturato che difficilmente troverà pareri contrari. Al momento ci troviamo di fronte non solo al suo disco migliore, ma anche ad uno dei lavori meglio concepiti degli ultimi anni.
(26/09/2021)

Voto “A Curious Tale Of Trials + Persons”: 6,5
Voto “Stillness In Wonderland”: 7,5
Voto “Grey Area”: 7
Voto “Sometimes I Might Be Introvert”: 8