Garda 1990 – Venti

Garda 1990 – Venti
Sono convinto che se realizzare un buon disco sia difficile, riuscire a creare un buon ep sia ancora più complicato. Di lavori brevi ne ho ascoltati un sacco e il problema principale è sempre lo stesso: i primi a non credere in questo formato sono proprio le band e gli artisti che si affidano ad esso.
Il fatto è che i musicisti svalutano il concetto di ep, pensando che un disco corto (di solito 5-6 brani per un totale massimo di 20 minuti) sia funzionale solo per la pubblicazione di b-sides, materiale accantonato, sperimentazioni senza troppo impegno, remix, brani slegati fra loro.
Ci sono persone come i Garda 1990, però, che per fortuna la pensano diversamente. Il loro nuovo lavoro, “Venti”, è il classico esempio di ep realizzato come dio comanda: cinque canzoni di gran valore che, una dopo l’altra, danno vita a un immaginario coerente, strutturato e in grado di trasmettere qualcosa.
L’apertura del disco è lasciata in mano ad Essere e al suo intenso crescendo fatto di elettricità e voce gridata. La malinconia ci avvolge come non mai, allo stesso modo di una calda coperta in un freddo autunno, tanto familiare quanto piena di ricordi che sappiamo non torneranno più. La successiva Bordo, invece, spezza il cuore con il suo umore pieno di amori, paure e incomprensioni, il tutto mentre un’ottima linea di basso emerge come elemento principale, alle spalle di sonorità emo punk. Il terzo brano in scaletta è Martello, un baratro esistenziale che lascia trasparire soltanto un profondo senso di sconfitta, quell’ “universale buco nero senza ritorno” dalla quale non si riesce a sfuggire mai. A cambiare mood emotivo ci prova la più speranzosa Difetti, ma il sound disteso, vagamente al sapore di Cure, in realtà nasconde ancora una volta un doloroso senso di inadeguatezza, esponenzialmente riproposto nella resa incondizionata della conclusiva Infra.
Con questo lavoro i Garda 1990 dimostrano una maturità artistica che non mi sarei mai aspettato. Nemmeno due anni fa Davide Traina inaugurava il progetto con l’album “Downtown”, ma la differenza che intercorre fra quel lavoro e i cinque brani di “Venti” è incredibile. Rispetto al passato le canzoni suonano curate, strutturate ed equilibrate sotto ogni punto di vista, mentre il cantato, non più in inglese ma in italiano, arriva sempre dritto al punto, senza perdersi in dettagli superflui. Lo stile è profondamente emo (i Cabrera hanno fatto scuola), ma in alcuni momenti si sente un lontano eco che riporta anche al punk ’00 e alla new wave. A rendere il tutto ancora più perfetto, infine, ci pensa la brevità, l’elemento chiave del concetto stesso di ep: il lavoro finisce in un baleno, ma la bellezza è talmente tanta che non si può fare a meno di ripartire da capo ancora e ancora.
(26/09/2020)

Voto: 8