
Foxing – Draw Down The Moon
Trovo molto deludente che quasi nessuna rivista o sito italiano si sia interessato al nuovo album dei Foxing, come trovo molto triste che le poche parole scritte al riguardo siano state tiepide se non negative. Capisco che il precedente “Nearer My God” abbia lasciato parzialmente delusi, facendo perdere fiducia nella formazione del Missouri, ma tenendo conto che alle spalle c’erano due capolavori come “Dealer” e “The Albatross”, mi sarei aspettato comunque una maggiore attenzione da parte del pubblico e della critica.
Il nuovo disco realizzato da Conor Murphy e soci (con lui sono rimasti solo Jon Hellwig ed Eric Hudson) si intitola “Draw Down The Moon” e spiazza come non mai, grazie alle sue sonorità per niente emo o post rock. Tutto si gioca su territori pop/indie rock in cui a farla da padrone sono un profondo senso di accettazione e un fiero orgoglio di mostrarsi al mondo per ciò che si è davvero.
L’iniziale 737 funziona da ponte di collegamento con il passato, concedendosi l’unica parte urlata dell’intero lavoro, ma già la successiva Go Down Togheter cambia tutte le carte in tavola, fulminando all’istante con il suo incredibile mix di pop, malinconia, amore e passione. Le parole, semplici ma dannatamente efficaci, entrano in testa fin dal primo ascolto, mentre il sound, carico di rimandi agli anni ’80, conquista con la sua squillante luminosità. Beacons prosegue sulla stessa linea, regalando un altro testo dal profondo significato emotivo, con la musica pronta ad incalzare grazie ai fitti colpi di batteria e alla sempre ottima voce di Conor Murphy. La title track, barocca e accattivante, ricorda gli Empire Of The Sun, nonostante qui ci sia più tensione e nervosismo di fondo, mentre i ritornelli di Bialystok, a metà tra i Foals e i Coldplay più recenti, scorre via mescolando cori da grande arena, chitarre, synth e cassa dritta. L’animo acustico di At Least We Found The Floor, costruisce momenti più raccolti e pacifici, lasciando che a seguire sia l’esplodere graffiante di If I Believed In Love, canzone dal piglio quasi punk/emo pomposo alla My Chemical Romance. L’ancora più complessa e maestosa Speak With The Dead, infine, chiude l’album nel migliore dei modi, costruendo un elaborato e strutturato susseguirsi di emozioni, atmosfere e sentimenti, dentro cui l’eredità dei Queen viene totalmente sezionata, riemergendo come un qualcosa di totalmente nuovo e differente.
Ad essere sincero prima di ascoltare questo album ero fra le persone più scettiche e dubbiose al riguardo, ma una volta entrato dentro il disco, ascolto dopo ascolto, mi sono reso conto che per quanto possa apparire leggero e semplice nella costruzione, in fin dei conti funziona a meraviglia. Ho passato tutto Agosto a tornarci sopra, riprendendo i pezzi, concentrandomi su alcune parti e poi su altre; alcuni momenti tendono a passare inosservati (Where The Lightning Strikes Twice, ad esempio), ma la qualità complessiva mette in ombra “Nearer My God”, riavvicinandosi, in qualche modo, alla grandezza dei primi due lavori pubblicati.
(09/09/2021)
Voto: 7,5