
Covet – Technicolor
Ascoltando il nuovo album dei Covet la prima cosa che mi è venuta in mente è la parola “post rock”. Non so spiegarvi bene perché, ma anche se loro sarebbero più da categorizzare come math rock/emo dalle tinte solari, riescono comunque a riportarmi alla mente tutto quel mondo di musica strumentale anni ’90-’00 che aveva come principale obiettivo quello di generare oniriche fughe dalla realtà, spesso dai toni malinconici o agrodolci.
Il disco esce a due anni di distanza da “Effloresce”, si intitola “Technicolor” e, come il precedente, è stato pubblicato dalla Triple Crown Records. La band capitanata da Yvette Young ritorna sul luogo del delitto, realizzando dieci nuovi brani che fanno della tecnica e della passione per la melodia il loro marchio distintivo. Rispetto al passato, però, emerge una maturità che prima mancava, evidenziata principalmente dal fatto di non perdersi in passaggi eccessivamente cervellotici e dalla scelta di inserire, anche se in modo marginale, la voce.
Ad aprire l’opera ci pensa il pigro stiracchiarsi mattutino di Good Morning, costruito su lievi arpeggi e lunghe note di chitarra, mentre i ricami sonori della successiva Atreyu, dallo spirito leggermente più ruvido e distorto, introducono la fresca dolcezza di Parachute. Il pezzo, unendo alla parte strumentale la voce di Yvette Young, entra in testa in un baleno, scaldando il cuore e dando vita a un suono pop/emo/math rock che meriterebbe di essere approfondito ulteriormente. La successiva Predawn, lievemente incolore e costruita su classiche strutture post rock (prima parte calma e cadenzata, finale più esplosivo e dinamico), lascia che a seguire sia Nero, singolo vivace ed elettrico che partendo da riff quasi psych/stoner evolve in affascinanti divagazioni cosmiche. Superata la breve e trascurabile Pirouette (quasi una sorta di intermezzo), la scena è tutta in mano ad Ares, al suo nervoso ed ipnotico progredire e al dialogo affiatato e costante fra batteria, basso e chitarra. La conclusione del disco, invece, è affidata prima alle note di Parrot (intricati intrecci ritmici che a metà brano si schiudono come un fiore bellissimo), poi all’animo quasi lofi hip hop di Odessa e infine alla delicatezza dai toni dream pop di Farewell.
Con questo secondo lavoro i Covet dimostrano di essere una band a tutto tondo e non solo un’espansione dell’operato solistico di Yvette Young. I brani scorrono via lasciando sempre sensazioni positive e, anche se magari qualche sbavatura si può trovare, l’impressione generale è che rispetto ai tempi dell’esordio sia stato fatto un bel passo in avanti. Il suono sarebbe da catalogare come emo/math rock, ma, nella realtà delle cose, tutto suona incredibilmente post rock, ridando vita a un genere che, per quanto mi riguarda, era ormai quasi completamente perduto.
(11/07/2020)
Voto: 7,5